Installazione multi-materiale – misure variabili
Timbro/ foglia d’oro/ vernice/ spray/ fotografia digitale/ ecc.
su
Plexiglas/ materiale plastico/ legno/ carta/ ecc.
Partendo da una riflessione sul pensiero di Walter Benjamin, l’artista indaga i concetti di unicità, serialità e valore, intessendo un rapporto dialogico tra l’opera d’arte e la documentazione prodotta e archiviata nelle abitazioni e negli uffici. L’insieme costituisce una narrazione poetica che richiama l’attenzione sulle pratiche che costituiscono il corpus fondamentale delle nostre vite “ufficiali”, come tutti quegli atti formali che, pur determinando il nostro status e la nostra identità sociale, nel giro di pochissimo tempo diventano copie senza importanza. Tutte le opere che compongono la serie, infatti, vengono bollate dall’artista come “campione senza valore” tramite l’apposizione di un vecchio timbro proveniente proprio da un cassetto d’ufficio. L’azione della marchiatura viene tuttavia immediatamente contraddetta dall’aggiunta sulle opere di elementi in finto oro riprodotto in varie forme e modalità. Applicato a vernice, a spray, a foglia o rappresentato nel suo simbolo chimico, l’elemento aureo se da un lato diviene simbolo di unicità e preziosità, non cedevole alla corruzione del tempo, dall’altro, nella sua non autenticità fisica, contribuisce a creare un cortocircuito di senso, uno scarto paradossale tra ripetibilità e unicità, tra campione e riferimento, tra parola e visione. Tutto il lavoro è giocato con grande ironia sulla base di elementi componibili e scomponibili. L’assemblaggio, per così dire, è ad opera dello sguardo attivo dello spettatore che integra tra loro le diverse parti dell’installazione.
Per la mostra da Piano Nobile HomeGallery, il gioco di ambiguità e divergenze formali si inaugura già nella prima sala, dove materiali antichi come il legno e la carta coabitano insieme alle plastiche e al polistirolo, generando una correlazione tra architettura interna ed esterna nelle finte cornici disegnate a matita e nella riproduzione artificiosa sulla parete della Galleria della finestra trilobata della Chiesa di San Paolo che fa da contrappunto alla visione. Proseguendo nella grande stanza sulla destra, lo spettatore si trova immerso all’interno di dinamiche più intime e familiari. La tavola imbandita e la predominanza del colore oro e del bianco, conferiscono all’ambiente un’eleganza cerimoniosa e compassata che ancora contrasta con il contenuto dei lavori: i finti tovaglioli in carta dorata ripiegata, riposti all’interno di espositori in plastica industriale, sono in realtà documenti di scarto provenienti da un ufficio e recanti scritte incomprensibili generate da un errore della macchina che li ha prodotti. L’errore viene poi ripreso ed elaborato nella terza sala, lo studio, nel quale l’artista inserisce la sua dichiarazione d’intenti tra carte e oggetti d’archivio. La cifratura involontaria della macchina viene infatti volutamente riprodotta dall’artista sul supporto cartaceo attraverso la codificazione di alcuni frammenti del testo di Walter Benjamin – “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.
Testo a cura di Silvia Bellotti ed Erica Romano






























