Installazione pubblica
Manifesti formato a A3 + Assemblage
Malandrino è un opera installativa partecipativa pensata per e sulla piazza che la accoglie. Ideata come fosse un’operazione di “affissione” fulminea, interviene nello spazio occupato dal festival che, in quei giorni, si veste da luogo dove fare e condividere, effettivamente, cultura. L’installazione è formato essenzialmente da un folto gruppo di manifesti posizionati a terra e giocati con la pavimentazione di dove va ad insediarsi, anche se temporaneamente. Lo spostamento dal verticale, tipica norma del manifesto, all’orizzontale sta nella volontà di far partecipare lo spettatore, con la sua azione, alla realizzazione dell’opera stessa che avviene nel momento in cui, passandoci sopra, sporcando ed erodendo l’oggetto crea letteralmente il senso stesso del lavoro. Malandrino nasce da una riflessione generale, digerita assieme a gli organizzatori del festival, attorno alla macro tematica delle mafie, che sta dietro ad operazioni culturali, di questo genere, in luoghi e città come quelle siciliane. La volontà è sicuramente anche quella, in parte, di dare attraverso l’arte un riscatto a territori come questo. Il modo migliore è quindi, forse, quello che avviene tramite l’operazione compiuta dalla persone stesse che partecipano al festival, che si muovono, che mettono in campo la propria curiosità e la propria energia. Germina così la necessità di rendere ancora più evidente quest’azione, sottolineare come il cittadino, partecipando, manifesta il proprio interesse anche a “corrodere” un sistema, una nota dolente, quella delle mafie. Malandrino parte proprio da qui, la parola, che altro non è che una “traduzione” in italiano corrente di un termine dialettale: mafiuso, dal quale negli anni è stata poi coniata l’ormai diffusa terminologia mafia, vuole farsi concretezza e svanire allo stesso tempo. Questa parola, scritta su carta e posta a terra, si trasforma letteralmente in un “tappetto” calpestabile. La scelta di questo termine, quasi ironico se pensiamo a cosa ad oggi la parola mafia è collegata, oltre a tutta la stratificazione di significati e fatti che si porta dietro, intende proprio farci riflettere su questa chimera: sul fatto che si non è una burla ma non è nemmeno così intoccabile. Il fruitore che va al festival e concettualmente “consuma”, si oppone, alle mafie con la sua scelta, passando sopra i manifesti rende tangibile la sua operazione. Sciupa, dissipa, annerisce, strappa e rovina l’opera e cosi facendo lascia traccia, anche fisica, della sua azione partecipativa: “cancella”. Malandrino prende piena forma nel suo esaurirsi, nel suo andare perso al passaggio delle persone, sono loro che lo rendono reale nel suo decadimento.
Assieme a Malandrino troviamo una seconda installazione, si tratta di un assemblage di seggiole di recupero, dove l’artista è intervenuto con il proprio lavoro e riportando su ogni seduta una lettera della parola in questione. Qui lo spettatore è libero di intervenire pienamente: spostandole per creare una nuova parola, dividerla semplicemente, sovvertirne l’ordine o anche lavorarci sopra lui stesso. Il senso e l’obbiettivo finale rimangono sempre quelli che hanno i manifesti a terra.













