Questa serie di installazioni, che germinano dal precedente lavoro PRECIPITATO, fanno parte di un’unico progetto che prende il nome di Untitled. Tradotto letteralmente senza titolo, sta ad intendere un folto gruppo di opere che nella loro non indentità di titolo, appunto, si configurano come delle “zone bianche”. Giocate tutte attorno ai colori primari di luce e materia, sono dei bacini aperti a qualsiasi interpretazione, al libero punto di vista, al mattersi in discussione. Vengono organizzate tramite soltato un sottotilo che ci fornisce una piccola chiave di lettura utile, ogni volta, come imput per risignificare le installazioni ad ogni nuova riproposizione in forma alterata.

(costruzioni)

Installazione – misure variabili

Fotografia digitale su carta/ vernice bianca/ grafite/ acquarello/ penna/ fletting all’acqua/ scotch
su
Legno/ cartone

Questo lavoro parte dalla considerazione di come la ricodifica degli oggetti di scarto, attraverso la trasformazione della loro superficie, possa portare ad una riflessione verso la multi-interpretatività delle cose che, spesso, viene dimenticata. Giocando con una scansione ed un ritmato gruppo di elementi cardine, si crea un linguaggio informale dove colori e strutture base si articolano a formare degli schemi, quasi delle “decodifiche” di mondi in costruzione. Assemblando e ricostruendo “oggetti”, muovendoci dal bidimensionale al tridimensionale e viceversa, si da forma ad un’installazione dove il punto fondante della visione è fermarsi ad osservare lo sporco, ovvero lo scarto, e come questo “rimontato” possa aprire a nuovi percorsi narrativi analogici. Tramite i tre colori elementari più il verde, facenti funzione di “direttori d’orchestra”, e dei tasselli di immagini fotografiche che trovano stallo su variegate superfici bianche contaminate, si configurano delle “tabule rase”, pagine bianche appunto, da dove poter costruire qualsiasi cosa. Materiale di avanzo come legno e cartone trovano respiro accordandosi con piccoli ritagli fotografici, i quali riportano dei dettagli del “tipico sporco pittorico” che rimane sugli strumenti d’uso durante la realizzazione di un’opera. Avvalendosi del principio della casualità, questi tasselli sono accostati secondo un percorso libero, sottolineando come nella miriade di accostamenti possibili, quello emerso, è solo uno degli ipotetici percorsi che le cose possono prendere. La domanda che ci pongono è: sono solo delle macchie o possono diventare altro se accettiamo la possibilità che ogni cosa possa essere ricalibrata?

Untitled costruzioni 1

Untitled costruzioni 2

Untitled costruzioni 3

Untitled costruzioni 4

Untitled costruzioni 5

Untitled costruzioni 6

Untitled costruzioni 7

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(assenza)

Installazione – fotografia digitale a monitor o su stoffa – misure variabili

All’interno della solita linea di lavoro si inserisce questa serie di scatti dove è evidente la mancanza del blu. Colore per me importate in quanto simbolo della memoria, di tutto quello che ci definisce, nel momento in cui questa viene a mancare e come se, ipoteticamente, ripartissimo da zero, tutto si annulla. Il nostro Io torna ad essere una pagina bianca sulla quale è possibile scrivere infinite combinazioni di storie. Quando manca il blu, tutto retrocede a “polvere”, torna ad essere pigmento pronto ad essere usato per scrivere nuove identità. Ognuno di noi è tale in relazione alle modalità con le quali si confronta con gli altri.

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(conserva creativa)

Installazione –  misure variabili

Olio su tela/ patchwork/ acrilico/ barattoli di vetro

La serie, composta da “tappettini” di tela dipinta rimontati a patchwork e barattoli colorati, richiama l’idea, come suggerita dal titolo, di una “conserva”. Elemento tipico della vendita e del consumo, si rende invece inriproducibile ma, nonostante la controtendenza alla sua stessa ragione di esistere come qualcosa di riproducibile, si fa comunque contenitore, ma non di merci, bensì di “creatività”. I tre colori elementari, più il verde, rappresentano la possibilità di creare qualsiasi cosa e, uniti a tutta una serie di elementi “tappeto”, presentano una delle nuove possibilità che può scaturire dal riutilizzo di materiale di scarto, in questo caso barattoli e tele dipinte. Il lavoro intende indagare sulla contraddizione che si genera nel momento in cui prendiamo un simbolo tipico del consumo: la conserva, il barattolo, ma, pur trattandola come tale, viene resa altra da sé. Si può sempre “rifare”, ma non è più riproducibile perfettamente identica a se stessa. L’opera prova ad incrinare il senso di “riproducibilità” non per trovare una lettura negativa, piuttosto per cercare di svincolarne il senso da una lettura tipica, per aprire alle opzioni di reinterpretazione delle cose. Lavorando su oggetti di scarto in questo caso, si cerca di mostrare come la creatività può trovarvi, conservarsi e ritrovarsi semplicemente cambiando il punto di vista.

Untitled conserva 1

Untitled conserva 2

Untitled conserva 3

Untitled conserva 4

Untitled conserva 5

Untitled conserva 6

Untitled conserva 7

(luminaria e pantone)

Installazione – misure variabili

Ripetizioni di immagini – fotografia digitale a monitor o su carta in piccolo formato

Le serie sono composte da gruppi di scatti in ripetizione, una a fondo chiaro più nitida e l’altra a fondo scuro giocata sullo sfocato. Come si intuisce dal nome fanno riferimento a tutto quel mondo “magico”, per un bambino, ricco di lucette, vernici e colori tipici delle decorazioni festive usate per addobbare. Le foto tentano di configurarsi come quasi delle cartoline dal passato, un richiamo al nostro primordiale immaginario visivo. Luminaria prende spunto e vuole recuperare l’Io fanciullo. Topografie di macchie di colore che, isolate e ribaltate, configurano una geografia impossibile, immaginata appunto, di un luogo astratto nelle nostre fantasie. Il progetto nasce dalla volontà di fissare nel visibile quei colori frammentati di un mondo ormai lontano, lasciato nel cassetto della nostra infanzia. Le cromature sovraesposte tentano di riportare il nostro sguardo ad un grado “zenit”, celando o sottolineando le luci in trasparenza, un luogo fatto di “mappe di macchie” dal quale è possibile ripartire e re-immaginare qualsiasi cosa. Un gioco che ci rimanda ad un tempo dove tutto era da scoprire ed ogni dettaglio aveva una bellezza nascosta, poichè tutto era un deposito di infinite possibilità.

Sulla stessa linea di senso si colloca anche la terza serie, un folto gruppo formato da sessanta “tasselli fotografici”, che ci raccontano attraverso l’accostamento e la ripetizione una storia analogica. Le stratificazioni di un tavolo da lavoro, passato di generazione in generazione, si cristallizzano in mappe astratte immortalando un oggetto andato ormai distrutto. Gli strati, come la memoria, si depositano lentamente l’uno su l’altro fino a perdere una soluzione di continuità. La luce ci permette di avvertirne una lettura fatta di rimandi e visioni vicine che, comunque vada, restano parzialmente inaccessibili.